La linea del colore. Il gran tour di Lafanu – Igiaba Scego 

La linea del colore

Generalizzando e semplificando – con tutti i rischi del caso – ma non andando troppo lontano dal vero, quando parliamo di razzismo pensiamo che sia sempre un problema di qualcun altro. Altre persone, altri Paesi, altri continenti. E ci infastidiamo quando qualcuno fa notare che gli italiani, nel presente e nel passato, non sono e non sono stati quella brava gente che si crede (in realtà, ne siamo convinti solo noi). I cattivi sono i tedeschi, per antonomasia, o il Ku Klux Klan, i comunisti.  

Per fortuna ci sono altri italiani che riescono a essere più distaccati, pur essendo nati e cresciuti nel Paese ed essendo stati esposti a tutti i pregiudizi che coltiviamo. Pur amando il territorio che li ha accolti, il che non vuol dire non notarne le contraddizioni, i difetti e la difficoltà a superarle. Sto parlando di Igiaba Scego

Nella Linea del colore. Il gran tour di Lafanu, l’autrice racconta due vicende che si svolgono a circa un secolo di distanza, con una mise en abyme in cui la cornice del presente accoglie le immagini del passato che si specchiano l’una nelle altre. 

Nel passato, l’aspirante pittrice Lafanu Brown lascia gli Stati Uniti – viene strappata da lì, in realtà – che, pur non essendo più nella forma una repubblica schiavista, non vogliono riconoscere ai neri gli stessi diritti dei bianchi. Viaggia per l’Europa sotto la protezione di una benefattrice abolizionista, che in realtà vuole solo esporla come trofeo per far credere agli altri quanto è buona e liberale. Ci ricorda qualcosa, a sinistra? 

Lafanu affida il suo racconto alle pagine di un diario, che custodisce sentimenti incompresi o non ricambiati, violenze subite, tentativi di riscatto sociale abortiti e qualche verità storica che, come italiani, non vogliamo proprio ammettere: nel Corno d’Africa siamo stati dei coloni crudeli come tutti gli altri ma più incapaci. Le sconfitte di Adua e Dogali ce lo ricordano. 

Nel presente, Leila vive sulla pelle della sua famiglia le violenze che i migranti devono subire ancora, perché la tratta degli schiavi ha mutato pelle ma è sempre qui. La storia di Lafanu, pittrice per la quale si impegna a organizzare una mostra che renda giustizia alla sua arte, è molto più che un’ispirazione. È una seconda pelle. 

Forse tra qualche decennio, quando gli unici italiani ancora vivi in Italia saranno i discendenti degli immigrati di prima, seconda o terza generazione – gli altri avranno superato da tempo l’età pensionabile o saranno a loro volta immigrati, altrove – la cosiddetta identità nazionale si sarà scrollata di dosso un po’ di ipocrisie, facili da nascondere sotto pizza, spaghetti e mandolino. 

Crediti dell’immagine: Pexels, Life Matters.


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