Trilogia della città di K – Agota Kristof

È un libro a tratti troppo crudo, forse pure inverosimile, ma il tempo sospeso e i luoghi solo abbozzati in cui si svolge la storia, tratteggiati su immaginari e memorie che tutti forse abbiamo – o dovremmo avere – rendono possibilissima la sospensione dell’incredulità.

La narrazione comincia quando una madre lascia i due figli dalla nonna perché, per le ristrettezze della guerra, non può più mantenerli. La nonna, una vecchia rancorosa, sporca, crudele, prende con sé i nipoti e li tratta come animali da soma. Poco alla volta – e comunque solo a tratti – sembra addolcirsi quando si rende conto che i gemelli sono molto svegli, hanno imparato a essere aridi, a resistere al dolore, a fare del male agli altri anche oltre la legittima difesa.

Quando non lavorano per la nonna, i gemelli scrivono tutto quello che succede loro sul Grande Quaderno che dà il nome al primo romanzo della trilogia. Un resoconto apparentemente fedelissimo della loro esistenza, priva delle gioie di un’infanzia anche soltanto nella media. Un’infanzia, in effetti, non ce l’hanno e non perché costretti a vivere di stenti ma perché proprio non sembrano nemmeno volerla.

Non possono davvero scegliere ma accettano di non andare a scuola, subiscono e cercano esperienze per le quali sono ancora immaturi, progettano il futuro prossimo e più lontano con una diligenza che non avrebbe nemmeno un project manager con un disturbo ossessivo-compulsivo.

Tutto quello che abbiamo appreso nel Grande Quaderno viene messo in discussione nelle pagine successive. I gemelli, che fino a quel momento non hanno avuto un nome, li conosciamo per come dicono di chiamarsi e li seguiamo senza poter essere davvero convinti di chi ci sta raccontando cosa, quali particolari ci vengono nascosti e perché.

Quello che l’autrice fa benissimo è distribuire i momenti di sorpresa – rarissimi nella prima metà della storia – e la suspense. È importante gestire le aspettative di lettori (o degli spettatori, ascoltatori e in generale fruitori di un’opera di narrativa su qualsiasi mezzo) e tenerli con quell’ansietta che li spinge ad andare avanti: dare loro un po’ di informazioni che sono celate a uno o più personaggi, conducendo tutti al momento della resa dei conti. La sorpresa, quella che c’è quando nessuno sa nulla – o quando solo l’eventuale narratore onnisciente sa, ma tace – regala un’emozione improvvisa, intensa ma effimera. Chi vorrebbe leggere un romanzo fatto solo di colpi di scena? Bombe che esplodono sempre senza che nessuno sappia nulla, né spettatori né personaggi, invece che bombe di cui il protagonista è ignaro, ma lo spettatore è ben consapevole e frigge d’ansia mentre guarda il timer?


Se il primo libro della trilogia è quindi parco di sorprese e pieno di suspense, ipotesi, gli altri due rappresentano le istruzioni per interpretarlo. Sarà facile dire “ma era ovvio, l’avevo capito”. Ma il bello è proprio questo: illudersi di aver capito cosa c’è nella testa di una brava scrittrice al punto di poter anche prevedere le sue mosse.


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3 risposte a “Trilogia della città di K – Agota Kristof”

  1. Brava scrittrice è un po’ poco, è straordinaria. La Trilogia ti squaderna pensieri e sentimenti. Capolavoro

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    1. 🙂 Hai letto altri dei suoi romanzi?

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