Call me by your name – Luca Guadagnino, 2017

chiamami-col-tuo-nome-recensione

Volevo provare a scrivere la recensione di Call me by your name senza dire che racconta un amore gay. Se vogliamo che la maggior parte di chi ancora non lo fa consideri gay ed etero alla pari, e se ipotizziamo che qualcuno di questa maggioranza incappi in quest’articolo, non scegliere l’omosessualità come il cuore di questa relazione – pensavo – potrebbe aiuatare a normalizzarla. Sicuro? Forse. Se, però, le storie hanno tutte bisogno di conflitto, perchè fare a meno del conflitto più duro e irrinunciabile, quello contro i nostri pregiudizi? Perchè dobbiamo confliggere sempre con i nostri pregiudizi. Chiamami col tuo nome è un film su una relazione omoerotica.

Call me by your name, per tornare coi piedi per terra, parla di uno studente americano di archeologia, Oliver – in vacanza a casa del suo professore italiano (francese? americano?) – e di un ragazzino, Elio, il figlio del professore, che, trovandosi a dormire in due stanze confinanti e dovendo condividere un bagno, imparano ad avvicinarsi l’uno all’altro. Comunicano con sguardi, gesti, atteggiamenti, tramite quello che dicono a chi è vicino a loro, senza mai essere certi che l’altro abbia colto il messaggio e – soprattutto – che lo abbia interpretato come vogliono.

Non lo immagineremmo, dato che i due personaggi sono inizialmente troppo diversi tra loro: belloccio, un po’ frivolo nella sua sicurezza di sé Oliver, che un pochino lo stereotipo dell’americano a Roma ce l’ha, e così introverso e profondo Elio, diciassettenne viziatello – dire che “un po’ se la tira” è poco. Non lo immagineremmo ma i due condividono gli stessi dubbi sulla natura del loro rapporto, le loro insicurezze sulla propria identità sessuale; pensano troppo, credono che tutto stia accadendo solo nella loro testa. Se c’è una delle due cose che Call me by your name fa benissimo, però, è proprio raccontare quei momenti in cui la relazione tra Elio e Oliver si fa meno una sfida cerebrale e si nutre di sentimenti autentici. Diventati forse consapevoli di quello che potrebbero essere, Elio e Oliver si scambiano i ruoli. Per la seconda, dovrete arrivare in fondo alla recensione.

Una delle cose che questo film fa meno bene, invece, è tradire un troppo autocompiacimento: l’archeologia, la declamazione di poesie, la profonda cultura musicale teorica e pratica di Elio. Sì, sono caratterizzazioni del personaggio, ma riescono a renderlo spesso antipatico, forse anche più di quello che meriterebbe. Dover dare degli indizi socio-politici su dove siamo nel tempo, poi: se la scena in cui, tutti seduti intorno a un tavolo, ci s’infervora parlando di Craxi, non ci fosse stata, non ce ne saremmo accorti. Percepiamo che è incastrata lì per rassicurarci che chi ha scritto il film (probabilmente Guadagnino, in questo caso, anche se la sceneggiatura è firmata da James Ivory) la pensa così. Percepiamo anche che è forse un addobbo necessario a raccontare il contesto, ma è irritante. E ci dimentichiamo di quello che si poteva raccontare meglio: pene (d’amore) di un liceale attratto da un fustaccio yankee. Va meglio, invece, quando a parlare da sé sono i luoghi, i silenzi dei personaggi l’uno accanto all’altro. Possiamo accorgerci da soli di quello che ci stanno raccontando e contemplarli senza distrazioni.

Come promesso, ecco la seconda cosa bella di Chiamami col tuo nome: il quasi-monologo finale tra padre e figlio. Nulla per cui stracciarsi le vesti, ma un inno discreto (se vedrete o avete visto il film, capirete il perchè di quel corsivo) a non giudicarsi, e non frapporre tra sé e se stessi altri ostacoli, visto che già il tempo ce ne mette abbastanza.


Scopri di più da Cinemastino

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli via e-mail.

Commenti? :)

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Scopri di più da Cinemastino

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere