The Meyerowitz Stories – Noah Baumbach, 2017

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The Meyerowitz Stories è uno di quei film in cui i personaggi finiscono per confondersi con gli attori: non stiamo guardando e ascoltando Danny, Matthew e Harold Meyerowitz ma Adam Sandler, Ben Stiller e Dustin Hoffman. Ed Emma Thompson, che trova il modo di rendere icastica ogni sua interpretazione, sempre un filo sopra le righe ma composta, mai esagerata, nella sua stravaganza. Perché c’è questa fusione tra ruolo e interprete?

Siamo di fronte ad attori molto noti, anche a chi non mastica molto cinema; due generazioni diverse con le quali chi ha almeno trent’anni è cresciuto o delle quali ha tristemente constatato l’invecchiamento. Non è il caso in cui un attore si è talmente identificato con un ruolo che non è più possibile scollarglielo di dosso (un esempio a caso: Malcolm McDowell in Arancia Meccanica); è il caso in cui ci pare di scorgere un filo conduttore tra tutti i personaggi che ha interpretato, pur con piccole varianti: la comicità spesso demenziale di Adam Sandler e soprattutto di Ben Stiller o l’anticonformismo di Dustin Hoffman. La saggezza a volte hippie a volte discreta di Emma Thompson. Affascinante è anche ritrovare un attore più anziano a fare da mentore ai figli (come attore e come personaggio) e ricordarselo quando il figlio era lui. Conoscete l’aneddoto (ricordo libero e forse non accurato) in cui Laurence Olivier bacchettava Dustin Hoffman perchè, anzichè interpretare un tizio col fiatone, correva e si stancava sul serio per entrare nella parte?

Considerazioni e sentimentalismi a parte, The Meyerowitz Stories racconta di una famiglia non proprio tradizionale, secondo i canoni cattolico-puritani, che si riunisce perché il vecchio padre (Harold / Hoffman), un tempo scultore, esporrà alcune opere in una retrospettiva al MoMa. Non proprio tradizionale vuol dire che Harold ha avuto tre figli da altrettanti matrimoni, poi finiti, e adesso convive con Maureen / Emma Thompson. Il cruccio di Harold è che è ormai dimenticato dall’ambiente che, all’apice della sua carriera, lo aveva coccolato e onorato – è per questo che si organizzano retrospettive o si assegnano gli Oscar alla carriera: sensi di colpa. Non riesce a godersi fino in fondo il fatto che i suoi figli siano lì per lui, preso com’è dal suo ego ferito; per orgoglio, preferirebbe quasi continuare a crogiolarsi nella sua scontentezza: anche lamentarsi può essere una soddisfazione.

Vecchi rancori, incomprensioni  e vittimismi non possono più rimanere sopiti e sono ciò che anima le conversazioni tra i personaggi, che sono in realtà monologhi in cui i capricci di uno trovano risposta nello scarso interesse dell’altro. Ridiamo perchè sappiamo che, molto spesso, è così che si evolve il rapporto tra genitori e figli, e perchè i personaggi / attori ce lo ricordano amichevolmente ma senza pietà. Ridiamo perchè spesso le scene vengono interrotte bruscamente da uno stacco di montaggio, che racconta tutto il senso del film: non riuscire ad ascoltarsi, non avere il tempo, la pazienza. Ma il tempo per guardare tutto il film, provare empatia e pietà soprattutto per Danny, trovatelo.


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