Coco | Lee Unkrich | Disney Pixar, 2017

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Dopo i primi 10-15 minuti di Coco ero parecchio deluso da quello che avevo visto e non immaginavo – sul serio – che questa storia potesse svilupparsi come ha fatto. Qualche altro stereotipo sui messicani, che in fondo sembravano terroni col naso un po’ più schiacciato? La solita situazione familiare in cui c’è un pargolo ribelle, che deve subire l’invadenza dell’affetto e degli ordini della nonna, e le sue fobie irragionevoli?

Sarà che i film della Pixar (che in realtà è Disney Pixar, anche se la Disney ha un’altra divisione che si occupa di animazione, gli Animation Studios, e tra poco sarà forse proprietaria di tutto quello che finora è “la concorrenza“) devono sempre rimanere in equilibrio tra bambini, generazione z, millenials, generazione x e forse anche baby boomers (qui un breve ripasso), e quindi devono letteralmente piacere a tutti. Sono dei mostri mutanti, in grado di essere al minuto 30 il contrario di quello che erano al minuto 15. In questo cambiamento, però, sta la capacità della maggior parte dei film della Pixar di piacere veramente a (quasi) tutti, in un connubio stranamente felice tra mercato e buon prodotto editoriale.

Il motivo per cui  il primo quarto d’ora di Coco è quasi irritante è che tutto è troppo perfetto, meccanico: veniamo subissati da un sacco di informazioni necessarie, certo, ma l’impressone è che siamo di fronte a un semplice compitino ben svolto. Molta testa e un po’ di furbizia, per tenere sveglia sin da subito l’attenzione di un bambino. Un incipit sicuramente diverso da quello di Up, per esempio, il concentrato di una vita raccontata senza una parola. Per fortuna, però, ho pazientato un po’: la routine di  un villaggio che si prepara a festeggiare il giorno dei morti è interrotta da un atto di ribellione estremo (un messicano che profana una tomba e ruba una reliquia, in un film prodotto in un paese sempre più WASP).

Da questo momento in poi, al pari di cosa succedeva nella Sirenetta, il protagonista – Miguel – scopre un mondo sconosciuto ma via via più affascinante, che fino a quel momento aveva creduto l’unico ostacolo tra sé e il suo più grande desiderio – diventare musicista, come il suo idolo – ma che invece sarà un’eneide di rivelazioni, illusioni e disillusioni, e la consapevolezza che talvolta (talvolta) chi ti vuole bene sembra farti del male. Ma è solo perchè ha paura di perderti.


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Una replica a “Coco | Lee Unkrich | Disney Pixar, 2017”

  1. […] l’addio all’infanzia; Inside Out un saggio umoristico sulla gestione delle emozioni, Coco ci insegna a perpetuare il ricordo delle persone care, e in questo condivide tanto con Onward. La […]

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